Tratto da “Ineffabilità di Dio” di padre Agostino Trappé
… «Ne segue che parlando di Dio sia più facile dire ciò che non è anziché dire ciò che è. «Stia attenta la vostra Carità, dice Agostino al suo popolo, Dio è ineffabile; più facilmente diciamo ciò che non è anziché ciò che è. Pensi alla terra: Dio non è questo! Pensi al mare: Dio non è questo!
Pensi a tutte le cose che sono sulla terra, agli uomini e agli animali: Dio non è questo! A tutte le cose che sono in mare o che volano nell’aria: Dio non è questo! A ciò che splende nel cielo, alle stelle, al sole, alla luna: Dio non è questo! Pensi al cielo: Dio non è questo! Pensi agli Angeli, alle Virtù, alle Potestà, agli Arcangeli, ai Troni, alle Sedi, alle Dominazioni: Dio non è questo! E che cosa è?
Questo solo ho potuto dire: ciò che non è. Mi chiedi che cosa è? Ciò che occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né è penetrato in cuore d’uomo. Come pretendi che salga sulla lingua ciò che non è entrato nel cuore?» (Enarr. in ps. 85, 12).
Ma anche questa conoscenza negativa di Dio è molto importante perché è l’inizio della conoscenza positiva. Quando pensi a Dio «e ti si presenta alla mente qualcosa di simile alla natura corporea, rifiutala, allontanala, negala, rigettala, scacciala, fuggila. Non è del resto un piccolo indizio nella conoscenza di Dio se, prima di poter conoscere che cosa egli sia, cominciamo a sapere che cosa egli non è» (Ep. 120, 3. 13; cf. De Trin. 8, 2, 3).
Scrive dunque Agostino: «Concepiamo Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità, al primo posto senza collocazione, contenente tutte le cose ma senza esteriorità, tutto presente dappertutto senza luogo, sempiterno senza tempo, autore delle cose mutevoli pur restando assolutamente immutabile ed estraneo ad ogni passività. Chiunque concepisce Dio a questo modo, sebbene non possa ancora scoprire perfettamente ciò che è, evita almeno con pia diligenza, per quanto può, di attribuirgli ciò che non è» (De Trin. 5, 1, 2)… ».
S. Agostino: L’ineffabilità di Dio, in AA. VV. «La ricerca di Dio nelle religioni», EMI, Bologna 1980.
Parlare di un uomo di Dio è come parlare dell’ineffabilità di Dio, cioè dell’impossibilità di dare una collocazione, una classificazione ed una qualificazione alla storia ed alla persona che vive questo particolare e unico rapporto di appartenenza Trinitario.
Così se pur collocato nella storia umana, un uomo di Dio, risponde ed agisce con Dio, in Dio e per Dio. Le sue azioni ed i suoi riferimenti anche se riconducibili, ad un primo esame, ad una normale vicenda umana, sono infinitamente impregnati di una nota spirituale e di pura trasparenza.
Perciò Fiorella quando ha iniziato a scrivere il quarto libro su fra Elia è stata colpita dall’interrogativo categorico: “Come faccio a raccontare la storia di un uomo che è vissuto da Dio?”.
La risposta non si è fatta attendere, il Signore al momento giusto sa come aiutare e suggerire il da farsi.
Il modello a cui si è ispirata Fiorella è quello del racconto, racconto di storie vissute, di eventi accaduti, di sensazioni, di sentimenti.
Nulla di più attuale, inculturato (per usare un termine caro all’antropologia moderna) e vero che parlare delle esperienze vissute e far parlare gli eventi per raccontare l’attenzione di Dio verso quest’uomo e verso tutti gli uomini di questo tempo.
Partendo da queste testimonianze di autentica vita vissuta si può dire ciò che fra Elia è.
Chiamare per nome un uomo di Dio significa certamente riconoscerlo come tale. La storia e la vox populi ne rende testimonianza ancor prima di coloro che sono chiamati ad esprimere un giusto e retto giudizio su di lui e sulla veridicità della sua missione.
Dire attraverso la vita del quotidiano e dei fratelli incontrati ed amati che cosa Dio ha fatto utilizzando quest’umile uomo è dire e sottolineare che cosa fa Dio per ognuno di noi ogni giorno, come lo fa e perché lo fa.
Il linguaggio che il Signore ha sempre usato è quello dell’esperienza, della comunione e della condivisione.
Il Cristo, figlio di Dio, ha spezzato e ha spartito il pane ed i pesci con i suoi e con una moltitudine, così fra Elia spartisce con tutti la speranza e la gioia di vivere Dio.
Non racconti mitologici o iperbolici, come alcuni teologi moderni si gloriano di definire passi dell’antico testamento, ma racconti semplici. Autentici perché vissuti da testimoni oculari che narrano a modo di cronaca la presenza di Dio in ogni storia umana.
Il canovaccio della narrazione è simile a quello utilizzato tanto tempo fa dagli anziani saggi che, davanti ai focolari, attraverso la rievocazione di storie vissute trasferivano ai giovani ascoltatori una saggezza e una forza che si sarebbe conservata e tramandata per sempre.
Questa modalità è stata suggerita a Fiorella per raccontare fra Elia, per tramandare un contenuto esistenziale che travalica la semplice umanità e che è intrisa di un profumo di infinito che spesso supera la nostra comprensione perché fa intravedere l’ineffabilità di Dio presente in quest’uomo.
Raccontare è anche un modo incisivo per dire che cosa fra Elia non è.
La realtà non passa mai attraverso la fantasia ma si fissa in un blocco monolitico di concretezza e tangibile verità, che possono essere trasfigurate solo se immerse nell’acqua pura dello spirito.
Ecco allora che i racconti sono la narrazioni di queste due realtà, quella umana e quella spirituale le quali si completano a vicenda dando insieme un valore integrale alla figura umano-spirituale di Elia degli Apostoli di Dio.
Nelle descrizioni si possono assaporare la consistenza delle storie umane trasfigurate dall’indicibile ed indescrivibile potenza dello Spirito che avvalora e realizza un preciso messaggio e insegnamento per l’umanità di questo tempo.
Possiamo leggere queste pagine come un semplice racconto ma anche come un canto di insondabile bellezza alla gloria ed all’amore di Dio.
Il canto più bello con le note più alte e melodiose lo sta intonando ancora oggi fra Elia alla Trinità per intercedere in un abbraccio di amore sofferente per ognuno di noi.
Leggiamo bene queste pagine perché in qualcuna di esse potrebbe esserci anche la nostra storia e forse potremmo rivedere, comprendendo le esperienze vissute, sotto la luce dell’amore di Dio.