Visione a distanza

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VISIONE A DISTANZA

« La visione è la percezione di un oggetto attraverso gli occhi corporali. Per estensione e analogia, spesso si applica ad altri sensi e alla comprensione. Nella mistica le visioni sono percezioni soprannaturali di oggetti naturalmente invisibili agli occhi. Il primo a parlare di una distinzione tra varie specie di visioni è stato s. Agostino la cui classificazione è passata nell'uso comune. Classificazione: Vi sono visioni corporali, quelle, cioè, in cui il senso della vista percepisce una realtà oggettiva naturalmente invisibile all'uomo. Non è necessario che l'oggetto che si percepisce sia, per esempio, un corpo umano di carne ed ossa, basta sia una forma esteriore sensibile o luminosa. 
Per visioni immaginarie si intendono quelle rappresentazioni sensibili interamente circoscritte all'immaginazione che si presentano in modo soprannaturale allo spirito. 
Per visioni intellettuali si intendono quelle che si verificano mediante una semplice visione dell'intelligenza senza impressione o immagine sensibile ».

VITA TEOLOGALE

« I. I termini e la realtà. 1. La tradizione neotestamentaria. L'unione con Dio, nella tradizione cristiana, è il nucleo più sublime della rivelazione della vocazione umana e, nello stesso tempo, la condizione più ardua ad essere descritta, la più delicata ad essere educata: la gloria della meta è la croce della via. Lo mostra anche la storia delle interpretazioni. 

I termini che tradizionalmente sintetizzano la proposta su questa relazione si leggono per la prima volta insieme, in 1 Cor 13,13: " Queste dunque le tre cose (ta tria tauta) che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità ". Tale testo è tanto riccamente evocativo nel suo enunciato quanto enigmatico nell'interpretazione.

Probabilmente esso è il risultato di un cammino di coscientizzazione vissuta nel popolo di Dio che, meditando sulle esigenze della nuova alleanza in Cristo, aveva identificato in queste tre sia le prerogative nelle quali si concretizza e si configura la fisionomia delle persone che consentono a Dio di essere Dio nel popolo di cui si prende cura e di cui si compiace, sia i criteri in base ai quali verificare l'autenticità del credere, del confidare nella sua misericordia, dell'amarlo con tutto il cuore, la mente, la forza (cf Mc 12,28ss. e par.). La Bibbia di Gerusalemme (EDB) in nota al testo scrive: " Tre cose: il gruppo delle tre virtù teologali che appare in Paolo già da 1 Ts 1,3 e gli è forse (l'ed. francese ha sans doute) anteriore, ritorna spesso nelle sue Lettere, con diverse variazioni nell'ordine: 1 Ts 5,8; 1 Cor 13,7-13; Gal 5,5ss.; Rm 5,1-5; 12,6-12; Col 1,45; Ef 1,15-18; 4,2-5; 1 Tm 6,11; Tt 2,2. Cf Eb 6,10-12; 10,22-24; 1 Pt 1,3-9, 21s. In più si trovano insieme fede e amore: 1 Ts 3,6; 2 Ts 1,3; Tm 5; costanza e fede: 2 Ts 1,4; carità e costanza: 2 Ts 3,5; cf 2 Cor 13,13 ".

Queste " tre cose " riassumono gli atteggiamenti che strutturano il rapporto con Dio uno e multiforme. " Se ci si interessa al senso dell'esistenza cristiana, la speranza è ciò che lo determina. Se si considera ciò che in-forma quest'esistenza, bisogna nominare la carità. Se si domanda quale ne sia il fondamento bisogna nominare la fede ".2

Quando oltre a queste poche testimonianze paoline si approfondisce la ricerca sulla rivelazione neo-testamentaria delle "tre", la difficoltà di reperire dei contesti di conferma diventa grande. Si parla dell'una o dell'altra di esse separatamente, ma non delle tre insieme.

La loro sintesi è frutto dell'elaborazione della tradizione teologica e scaturisce dall'insieme della rivelazione dell'economia del tempo pieno. La v. è il riflesso della partecipazione della vita delle Persone divine in Gesù Cristo, connota le più alte operazioni con le quali noi partecipiamo ad essa, entriamo in relazione con loro; è reciproca all'autodono del Padre in Gesù Cristo e nello Spirito, dispone all'autodono nostro a Dio-con-noi per essere noi-con Dio in Gesù Cristo.

La dottrina che le concerne collega in certo modo la narrazione degli eventi salvifici, che vanno dall'Incarnazione alla promessa e al dono dello Spirito nella risurrezione, narrata dai sinottici e da Giovanni, e lettura di essi compiuta dal resto della letteratura neotestamentaria. Lo Spirito di Gesù Cristo è il soggetto primo delle attività a cui consentiamo con le nostre operazioni. Questa comunione di reciprocità è descritta con accenti diversi nei testi del NT, letti nella scia della lettura unificata della Parola che ha compiuto Gesù nell'incontro con i discepoli di Emmaus (cf Lc 24,27).

Le iniziative che la teologalità abilita a vivere sono di persone membri del Corpo di Cristo vivificato dallo Spirito. Le persone che le compiono sono il soggetto prossimo non il primo né l'unico della loro attività, le loro sono operazioni che Cristo attua nella sua Chiesa e che questa vive in lui a cui ci unisce il suo Spirito.

La v. nella sua unità di vita in carità è la vita del popolo di Dio che è stato radunato in Cristo e in lui ha sperimentato la misericordia (1 Pt 2,10). Egli lo ha fondato nella possibilità di dire nello Spirito "Abbà Padre" e di lasciarsi introdurre nella conoscenza che egli ha del Padre e che solo attraverso di lui è irradiata nel mondo e di protendersi in lui verso quella grazia che sarà data quando egli si rivelerà (cf 1 Pt 1,13).

L'annunzio che l'Incarnazione del Verbo costituisce il tempo pieno, che in Gesù Cristo siamo stati adottati nella filiazione adottiva (cf Gal 4,4), che Gesù risorto ha effuso lo Spirito, che questi vivifica la Chiesa nella quale ci unisce al Cristo che svela il mistero del Padre, orienta le persone che lo accolgono in un dinamismo di relazione divina. La vita di Dio in Cristo e nello Spirito è stata effusa nell'umanità e la fonda nella conoscenza che suscita in essa il desiderio di un più autentico rapporto con le Persone divine e dell'attesa di convergere verso la piena manifestazione della gloria.

Lo statuto teologale della vita in Cristo e nello Spirito era stato preparato dall'economia dell'AT, tutta ordinata ad annunciare la venuta di Cristo redentore dell'universo e del suo regno messianico e testimone permanente di una pedagogia divina che in Cristo raggiunge la sua meta (cf DV 15 citato da TMA 6). Cristo non parla a nome di Dio, in lui Dio stesso parla nel suo Verbo eterno.

2. Dalle "tre cose" alle tre virtù teologali: a. I primi dodici secoli. 1 Cor 13,13, anche se con alterne vicende, non ha mai smesso di focalizzare la ricerca della comunità credente. Questo scandaglio, attento e perseverante, è sfociato in un patrimonio di convinzioni e di esperienze a cui la Chiesa fa riferimento nella sua missione di guida nel cammino di sequela e di obbedienza allo Spirito. Queste tre cose sono state considerate come aspetto centrale del consenso a non rendere vana la riconciliazione in Cristo (cf 2 Cor 5,19s.). I Padri e gli autori spirituali hanno ribadito l'importanza di queste prerogative. La teologia non è arrivata subito a riconoscere il carattere unitario e virtuoso e teologale della santa triade. Il cammino verso questa sintesi è stato lungo e progressivo. Ancora Pietro Lombardo ( 1160) all'inizio del secondo millennio considerava la carità attività che lo Spirito Santo opera nei fedeli. Riteneva che la persona umana potesse credere e sperare in Dio, ma non amarlo.

Ammetteva una distinzione tra fede e speranza e la carità. Per la sublime dignità di quest'ultima, riteneva che lo Spirito Santo amasse in noi ma non attraverso noi come nella fede e speranza. Tommaso d'Aquino apportò l'ultimo tocco a questo processo, riconoscendo che sarebbe misconoscere l'opera dello Spirito, più che sublimarla, ritenere che la carità non è operata attraverso noi.

Quest'esperienza e questa riflessione convergono nella sintesi della Summa Theologiae,3 nella quale le più luminose intuizioni della tradizione vengono riprese e innervate in una vigorosa visione della vita secondo lo Spirito. Ivi l'Aquinate precisa il senso della qualifica di virtù teologali con la quale già alcuni autori precedenti ne avevano designato i dinamismi; le considera le più alte manifestazioni dell'esistenza in Cristo. Sono teologali perché " hanno Dio per oggetto: attraverso esse siamo ordinati rettamente in Dio; perché esse sono infuse solo da Dio; e infine perché esse vengono trasmesse nella Scrittura solo per divina rivelazione ".4 Questa concentrazione teologica è ricca di importanti valenze.

Affermare che le tre sono virtù, significa riconoscere che le operazioni che esse abilitano a compiere rientrano nell'esercizio delle potenzialità umane elevate dalla grazia, e perciò investire le persone della responsabilità di volersi soggetto delle azioni nelle quali si relazionano, in reciprocità di rapporto con Dio che si rivela verità di sorgente, amore che ama per primo (cf 1 Gv 4,8,19; 5,1,5,10), forza e sostegno del suo popolo (cf 1 Pt 5,7). Egli chiama a vivere per sempre nella comunione trinitaria. La persona è vero soggetto delle operazioni intellettive ed affettive con cui si relaziona a Dio, ma lo è in e con lo Spirito del Cristo presente in essa. I doni dello Spirito sono distinti ma non separati da lui che ne è la sorgente; essi suppongono non escludono la sua azione vivificante nell'anima in grazia e sono donati per permettere una vera comunione di conoscenza e di amore con le Persone divine. Questa presenza è origine della trasformazione che eleva e perfeziona le potenzialità conoscitive, di affidamento e d'amore e infonde in esse energie divine per corrispondere personalmente alla conoscenza in cui sono conosciute e all'amore in cui sono amate. Nonostante la loro inadeguatezza alla perfezione della patria (hic imperfecta... caritas perficitur in patria),5 esse sono vere, autentiche virtù: conferiscono un vero potere di agire con prontezza, spontaneità, gioia. In questo modo, tra l'altro, viene estesa notevolmente la sfera di azione delle potenze umane e si include in essa la relazione specifica con Dio, reciproca a quella che il Padre instaura in Cristo e nello Spirito con l'umanità. Enumerando tre virtù teologali, Tommaso unisce la carità alle altre; ne riconosce la singolare grandezza e le attribuisce il compito della rettificazione del vivere, il ruolo di forma nei confronti di tutto il dinamismo morale che in e per essa diventa meritorio della vita in eterno nella Trinità santa. E un modo di pensare che qualifica l'orientazione teologale della vita in Cristo, collega intimamente il vivere nel tempo e la visione di Dio.6

Il carattere virtuoso della teologalità la sottrae all'incostanza del dilettantismo, alla precarietà dell'emotività, all'infrarazionale e la vincola al dinamismo dell'intelligenza e della volontà inabitate dallo Spirito. La spontaneità nella v. è punto di arrivo, contesto della conversione permanente e della perseveranza nello sperare contro ogni speranza (cf Rm 4,16 ). Il rapporto con Dio si costruisce mediante le operazioni della persona mossa divinamente a volere liberamente ed influisce sui dinamismi personali senza falsarne le caratteristiche e le prerogative. L'unione con Dio non cresce se le persone non si coltivano nell'amicizia che egli abilita a vivere.

Legare la v. alla grazia è ribadirne contemporaneamente l'origine e la destinazione divina e la radicazione nella storia che in Cristo avanza verso la riconciliazione piena. La grazia è donata in Cristo e in vista di lui unisce a sé la Chiesa; essa conferisce una soggettività nuova, cristico-ecclesiale in forza della quale la persona vive e opera nella, con la e per la comunità adunata per essere nel tempo testimone della misericordia del Padre. La grazia della teologalità, nella sua natura più profonda, è dono; è sempre ricevuta e non si stacca mai dalla sua sorgente, è in permanente derivazione dal donante e in radicale tensione comunionale con lui. L'atteggiamento fondamentale della persona fedele è l'implorazione, l'epiclesi: Padre manda il tuo Spirito a santificare i nostri cuori per perseverare nell'amore soprattutto nelle ore della prova. La grazia è elargita gratuitamente, ma non in modo arbitrario o imprevidibile, abilita a fare della nostra attività il dono con il quale offriamo a Dio l'omaggio di noi stessi, illuminati dalla rivelazione nella quale egli si è auto-manifestato nel popolo nel quale condividiamo la misericordia nella quale ci unisce a sé. Si diventa credenti per dono, non per caso, e si persevera per amicizia perché si vuole essere in Cristo nel Padre. Senza una intelligente, saggia e perseverante educazione dell'intelligenza e dell'affettività sensibile e volontaria, senza una costante purificazione dell'immaginario, una perseverante vigilanza sulle tendenze ereditate dalla condotta antica, la partecipazione alla vita del popolo di Dio non si sviluppa in verità e libertà. Sembra che la teologia morale e quella spirituale non abbiano sufficientemente valorizzato questa decisiva operazione teologica.

b. Crisi al tempo della Riforma. Nel movimento culturale ed esistenziale culminato nella Riforma, la riflessione teologica più che la tradizione pastorale e ascetico-spirituale, per motivi diversi ma convergenti, ha sviluppato un'altra visione della realtà. La triade è stata valorizzata nelle sue componenti più che nel suo aspetto unitario.7 Ciascuna delle virtù è stata considerata sempre più isolatamente e la riflessione su di esse è diventata sempre più di carattere dogmatico più che teologico morale. La carità è diventata oggetto quasi esclusivo della teologia spirituale soprattutto nella sua accezione di amore per Dio.

c. Verso una nuova sintesi. Il Vaticano II nomina diverse volte fede, speranza, carità, ma non le denomina virtù. Le presenta nel contesto della vita in Cristo e nello Spirito come esplicita il rapporto reciproco che i Padri hanno descritto tra theologia ed oikonomia, tra il mistero della vita intima di Dio e le opere con le quali egli si rivela e comunica la sua vita (cf CCC, 236) nella economia del "tempo pieno", dei "tempi ultimi", del "tempo della Chiesa", dell'era di Pentecoste (cf per esempio CCC 731ss. e molti altri contesti), questa visione situa la v. nel contesto delle missioni divine e delle relazioni reciproche tra Cristo e lo Spirito, che vivifica e rende vivificante la Chiesa, adunata dalle Persone divine, guidata da esse nella crescita nell'identità di comunione che scaturisce, riflette ed anela alla comunione trinitaria, che s'irradia nella sua missione nel mondo quale sacramento di unità e di pace.

La verità secondo cui lo stesso Spirito porta tutti per le vie misteriose che egli conosce in contatto con la pasqua del Cristo (cf GS 22) fonda l'attenzione alla vitalità della teologalità al di fuori dei confini della Chiesa visibile, chiede di rimanere aperti ai segni della sua presenza nella storia.

Negli anni più recenti sempre più spesso i Papi hanno fatto riferimento alle "tre virtù teologali". Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre un saggio di lettura più ampia ed articolata della teologalità. Ne parla chiaramente e ripetutamente (nn. 1812-1829; 2655-2658 e passim), le ripropone nella loro unità quale dimensione della professione di fede; della celebrazione del mistero pasquale (CCC 2656); della vita in Cristo e nello Spirito (CCC, parte 3); della preghiera cristiana (nn. 2656ss.). Questa proposta chiarisce l'orientamento dell'esistenza cristiana, connota il vertice della contemplazione, favorisce il discernimento della sincerità e dell'autenticità dell'obbedienza alla rivelazione; accompagna la celebrazione del mistero della pasqua e l'esperienza dell'intelligenza amorosa e della sintonia fedele all'economia della salvezza. Questa pluralità di punti di riferimenti lascia intravvedere in quale contesto e in quale orizzonte si situi la nuova valorizzazione di questo dato centrale del patrimonio cristiano ».

[1] Vedi riferimenti Bibliografici